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Diario

“Con Dante, alziamo lo sguardo”

Il biblista trentino Gregorio Vivaldelli attualizza il messaggio della Divina Commedia in occasione del “Dantedì”.

A 700 anni dalla morte del suo autore, la Divina Commedia di Dante Alighieri (Firenze 1265, Ravenna 1321) mantiene immutato il suo fascino. Un’occasione in più per riscoprire questo capolavoro che, secondo Vivaldelli, ha molto da dire anche oggi.

Vivaldelli, perché la Divina Commedia continua ad affascinare?

«Si tratta indubbiamente di un testo antico tuttavia, se presentato in maniera accessibile, è in grado di sorprendere per la grandissima risonanza che ha nel cuore delle persone, anche dei giovani. Nella Commedia si respira non solo passione civile, amore per il bello e per il bene, ma soprattutto la grande passione per l’umano aperto al divino che Dante riesce a trasmettere. La Divina Commedia affascina perché suscita nel cuore e nella mente del lettore il desiderio di prendersi cura della relazione con se stessi, con gli altri e con Dio, come efficacemente ha ricordato papa Francesco l’ottobre scorso a una delegazione della diocesi e del comune di Ravenna: “Questo avviene specialmente là dove l’umano traspare più evidente e nudo, dove la passione civile vibra più intensa, dove il fascino del vero, del bello e del bene, ultimamente il fascino di Dio fa sentire la sua potente attrazione”».

Nel suo viaggio Dante incontra svariati personaggi: mitologici, biblici, suoi contemporanei, appartenenti alla tradizione, giudaica, classica o latina. Riempie la Commedia di citazioni e rimandi ad altre opere…

«Ed è una caratteristica che dimostra l’apertura mentale e spirituale di Dante e quanto il Sommo Poeta sia un autore non solo per l’oggi ma, soprattutto, per il domani. Inserire citazioni e rimandi è la sua grande capacità. Molti potrebbero considerare i numerosi rimandi presenti nella Divina Commedia uno sfoggio di erudizione teologica, filosofica, storica o filologica: in realtà, Dante utilizza tutto ciò che è frutto del genio umano come una lente di ingrandimento per evidenziare il senso della vita umana sulla terra».

La sua formazione da biblista come si è intrecciata con la Commedia?

«Dante fa un uso abbondante non solo di citazioni dirette e indirette del testo biblico ma soprattutto di categorie esistenziali fondamentali per la tradizione biblica: il viaggio, la liberazione, il pentimento, la caduta, la ripartenza, la paura e la fiducia. Dante utilizza in modo magistrale la capacità della Bibbia di essere “cibo per lottatori”. Le prime parole che Dante autore mette in bocca a Dante protagonista sono l’incipit del salmo 51, “Miserere di me”, “Pietà di me!”: non si tratta solo di un rimando diretto al testo biblico, ma di una proposta esistenziale ben precisa e, direi, al quanto contro corrente: la persona matura, libera e responsabile è colei che ha il coraggio di gridare aiuto riconoscendo così di non bastare a se stessa ma di avere sempre bisogno del sostegno e della guida degli altri. Dante insegna che gridare: “Pietà di me!” è sì un atto di umiltà, ma soprattutto è un momento di verità su sé stessi. Un atto in grado di generare speranza e fiducia».

Un atto che, peraltro, colloca la Commedia pienamente dentro uno dei pilastri del magistero di papa Francesco: la misericordia.

«Nel 2015 papa Francesco, in occasione del 650esimo anniversario della nascita del Sommo Poeta, definì Dante “profeta di speranza”. La Divina Commedia, infatti, non è solo un “patrimonio dell’umanità” ma è soprattutto un “patrimonio di umanità”. Dante insegna che ogni nostra azione, ogni nostro pensiero, ogni nostra esperienza possiedono un valore eterno. Parlando dell’aldilà riesce a interpretare e illuminare il nostro aldiquà; fa percepire che il nostro aldiquà è già fin d’ora inserito nell’aldilà e che l’eternità è la prospettiva giusta per riuscire a vivere in pienezza i giorni che ci sono dati da vivere sulla terra».

Secondo lei la Divina Commedia cosa ha da dire al mondo di oggi, alle prese con la pandemia da Covid-19?

«Viviamo in un tempo in cui è ancora più complesso e complicato mettere a fuoco il senso della vita. Questo nemico invisibile ha reso visibili le nostre fragilità e la nostra precarietà di esseri umani. Dante, forte della sua formazione teologica, filosofica e biblica, è come se ci invitasse a mettere a fuoco la nostra quotidianità, a guardarla più intensamente e ad avere il coraggio di accoglierla così com’è, ma allo stesso tempo ci invita anche ad avere il coraggio della speranza, ad alzare lo sguardo e guardare con fiducia al futuro. Questo è forse uno dei messaggi più attuali della Divina Commedia: tutti i respiri della nostra esistenza – anche quelli più faticosi e dolorosi – acquistano un significato, perché non siamo in balia del caso, ma sorretti da un “Amor che move il sole e l’altre stelle”, un Amore che si manifesta in tante donne e tanti uomini che con generosità e abnegazione ci ricordano che non siamo soli e abbandonati, ma sorelle e fratelli tutti e amati».

Articolo pubblicato su: Vita Trentina,  Giovedì 25 marzo 2021.

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