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Diario

Vivaldelli riparte dal sepolcro

Il ritorno alla croce serve al biblista rivano per ribadire che la risurrezione non è un evento estemporaneo, ma la conseguenza diretta dell’incredibile modo di vivere e di morire del falegname di Nazaret.

La Risurrezione, certo. Senza, l’operazione salvezza sarebbe abortita. I 1200 dei Palarotari sono dunque invitati a concentrarsi sul sepolcro vuoto, come titola la serata con cui Gregorio Vivaldelli ha completato giovedì 21 marzo l’itinerario, tra Vangelo e arte, dedicato agli ultimi giorni della vita terrena di Gesù: Giovedì, Venerdì e Sabato Santi, mirabilmente dipinti dal tedesco-fiammingo Hans Memling nella “Passione” che fa da sfondo al percorso.
Ma il sepolcro potrebbe anche non bastare e il biblista rivano riconduce l’attento pubblico della proposta pasquale (con l’organizzazione della Biblioteca diocesana) a fare un passo indietro, ancora al crocifisso. Non per contarne chiodi e piaghe, ma per descrivere il modo in cui Gesù incide idealmente nel legno dello scandalo le sue ultime sette parole, documentate dai Vangeli e divenute pure musica grazie al genio di Haydn.
Il ritorno alla croce serve a Vivaldelli per ribadire che la risurrezione non è un evento estemporaneo, un atto di forza del Padre, indipendente dalla biografia terrena del Figlio, ma proprio la conseguenza diretta dell’incredibile modo di vivere e soprattutto di morire del falegname di Nazaret. Per il biblista rivano le sette parole spalancano fin da subito la porta della misericordia in quel “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,24) emblema dell’amore sconfinato di chi “si mette – nota Vivaldelli – dalla parte dei propri aguzzini e chiede perdono insieme a loro” o nella verità di quell’“oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23,43), confessata al malfattore pentito “primo vero risorto della storia”.
Sul maxischermo, in una intensa carrellata di più di due ore, le citazioni bibliche prendono volto nel Gesù crocifisso di Tiziano, piuttosto che nei tratti di Van Der Weiden che fissa, ai piedi del Cristo, sua madre Maria e il discepolo amato Giovanni, avvolti in vesti bianche, segno di rinascita: ecco tuo figlio, ecco tua madre. Potente lo sguardo di Tintoretto e della sua monumentale Crocifissione del 1526 con Gesù a braccia spalancate al centro della scena. Vivaldelli vi associa le parole “Ho sete” (Gv 19,28), ricordando anche l’invito del salmo 34: “Guardate a lui”. Tutti gli occhi sono catalizzati dal morente e tra loro, svela Vivaldelli, quelli dello stesso artista che si autoritrae nella folla.
L’atto finale del Golgota, quell’”è compiuto!” (Gv 19.30) che prelude all’ultimo respiro, incrocia i colori di Mathias Grünewald e del suo Cristo straziato e contorto, con le mani arrotate verso l’alto, in un’invocazione accogliente, mentre un inedito Giovanni Battista ai piedi della croce ricorda la profezia “Lui deve crescere e io diminuire” pronunciata all’avvio della vita pubblica di Gesù. Quasi per contrasto, Vivaldelli conduce l’attento pubblico dal basso all’alto della croce, grazie al “Cristo sospeso” di Dalì (e al suo stimolante riferimento ad un disegno di Giovanni della Croce) che offre la prospettiva di Dio sulla Passione del Figlio.
Il Gesù calato dalla croce nella formidabile deposizione del Caravaggio merita il commento estasiato del docente con l’invito a soffermarsi sulla grande pietra alla base del quadro, “scartata dai costruttori” ma divenuta, rammenta il salmo 118, “pietra d’angolo”. L’immagine del silenzio del sabato santo è affidata all’incredibile scultura settecentesca del Cristo velato del Sanmartino, mentre la discesa di Gesù agli inferi tra i protagonisti dell’Antico e del Nuovo Testamento è descritta in modo mirabile dalle pennellate del Bronzino. “Gesù scende nel buio e nella sconfitta della morte perché anche ai morti è stata annunciata la Buona Novella” chiosa Vivaldelli, citando anche Dante nel IV canto dell’Inferno.
Lo sguardo finale è però alla tomba vuota, con la pietra scostata, la luce che vi penetra e le croci sullo sfondo. Vivaldelli prende a prestito le parole di Tonino Bello. “Ognuno ha il suo macigno: solitudine, miseria, malattia, odio. Pasqua sia per tutti il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l’inizio della luce”. Benvenuto, sepolcro vuoto.

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Articolo pubblicato su: Vita Trentina, domenica 31 marzo 2024.