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Diario

Vivaldelli e la “salita” alla gioia

C’è oggettiva soddisfazione nelle facce, trasversali per età ed estrazione socio-culturale, dei milleduecento che lasciano il Palarotari dopo aver salito le cornici del Purgatorio dantesco, sulle tracce del “virgilio” trentino Gregorio Vivaldelli. Azzardato dire se si tratti di vera gioia. Di sicuro, quei volti svelano la percezione di aver colto le condizioni essenziali per potervi ambire, come evocava il titolo della serata proposta dalla Diocesi venerdì 6 ottobre (“Spinti dalla gioia”). Condizioni che Dante e il suo Virgilio passano in rassegna a contatto con le anime “condannate” ad animare la seconda cantica per aver ceduto ad almeno uno dei vizi capitali. Tra superbi, invidiosi, iracondi, accidiosi, avari e prodighi, golosi e lussuriosi, ognuno dei presenti in sala, ma proprio ognuno, trova campo largo per collocarsi un po’ qua o un po’ là, avviando una bella (e tacita) concorrenza con il vicino di poltrona.

Il faticoso viaggio dantesco ha l’ambizione, ci ricorda ad ogni passo il biblista trentino, di parlare dall’”aldilà” all’”aldiqua”. Vivaldelli richiama il proprio pubblico (quello affezionato, ma anche tanti volti nuovi) al dato di realtà, da lui spesso relegato con ironia a quell’“eravamo nel Medioevo, sia chiaro, mica ai giorni nostri!”, strizzando l’occhio a sé stesso prima che all’uditorio, senza moralismi e con i consueti tocchi di semplice quotidianità: dalla lavatrice da svuotare alle scarpe mal riposte nell’ingresso di casa.

Tra gli stimoli offerti in due fitte ore, in ottimo equilibrio tra diversi generi letterari (su questo Vivaldelli mostra una costante maturazione artistica), ne cogliamo alcuni.

In primo luogo, il ruolo degli angeli che “sollevano” Dante nel passaggio da una cornice all’altra, occasione per sottolineare il poco credito concesso alla figura dell’angelo custode, al quale siamo stati “affidati” e la cui invocazione –illumina, custodisci, reggi e governa me” – è rimasta una preghiera relegata all’età infantile o tuttalpiù a un accenno sui banchi della catechesi. Per un cammino faticoso come quello terreno – al pari di quello dantesco -, sapere di poter contare su una guida-ombra non guasta.

Seconda nota da appuntare, eminentemente biblica, considerata anche la formazione del docente rivano: la ricetta della gioia, qualcosa di più intimo e duraturo della felicità, ce la offre il Vangelo e in particolare Matteo 25 (ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato…) accanto alle Beatitudini, vero contraltare ai vizi capitali e unico viatico, conferma Dante, per risalire il Purgatorio.

Ultima considerazione, legata alla constatazione che in troppi, anche nel contesto ecclesiale, non sanno proprio da che parte stia la gioia e per lo più sono irretiti dall’”incapacità di gioire della gioia altrui”, così il biblista sintetizza l’invidia. Per loro – ma senza puntare il dito, in fondo riguarda ognuno di noi – vale il monito della poetessa Cristina Campo: “Chi ci insegnerà – cita Vivaldelli – la disciplina della gioia? Chi ci rivelerà la sua estrema importanza e necessità, il suo valore di comando quale è pure uscito dalla bocca del Verbo: ‘la vostra gioia sia piena?’ Bisognerebbe scrivere su questo; presto, molto presto e sempre di nuovo”. La sensazione è che a tale fine possa contribuire anche la prossima tappa “vivaldelliana”, il 1° dicembre, sempre al Palarotari, per incamminarsi verso Natale ripartendo da Betlemme. Dalla “cornice” dantesca alla vera “culla” evangelica della gioia.

Testo di Piergiorgio Franceschini

Articolo pubblicato su: Vita Trentina, sabato 15 ottobre 2023.

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